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Decesso da infezione correlata all’assistenza sanitaria. Complicanza o malasanità?

Avvocato Chiarini: “Se non vengono prese precauzioni adeguate e l’intervento medico risulta tardivo, non possiamo parlare di complicanze, siamo di fronte ad un caso di malasanità”
Le infezioni correlate all’assistenza (ICA), contratte all’interno di ospedali, cliniche e strutture per la degenza, costituiscono un fenomeno più diffuso di quanto si pensi, che possono portare anche alla morte del paziente. Stando agli ultimi dati, queste infezioni colpiscono in media dal 5 all’8% dei ricoverati, soprattutto a seguito di interventi chirurgici, ma il dato più allarmante è che per un paziente su due, potevano essere evitate. In questi casi, si può parlare di complicanze post operatorie o si tratta di malasanità?
“La questione è piuttosto complessa, ed ogni caso deve essere valutato attentamente in ogni suo profilo, prima di poter affermare che l’infezione sia stata causata o favorita da comportamenti inadeguati dei sanitari. – afferma l’Avvocato Gabriele Chiarini – Laddove, però, sia verificabile un rapporto di causa-effetto tra l’operato medico e il sopraggiungere dell’infezione, siamo di fronte ad un caso di malasanità, ed è pertanto opportuno indagare al fine di accertare la responsabilità del personale preposto alle cure, come in una recente vicenda giudiziaria seguita da me e dai miei collaboratori, che ha portato ad un importante risarcimento a favore della famiglia di un paziente, deceduto a seguito di ICA”.
La causa seguita dallo studio dell’Avvocato Chiarini riguarda un uomo di 77 anni, affetto da steno-insufficienza valvolare ed aneurisma dell’aorta ascendente, ricoverato presso un ospedale privato di Roma per sottoporsi ad intervento chirurgico di sostituzione della valvola aortica e dell’aorta ascendente. A seguito dell’intervento, l’uomo fu spostato in terapia intensiva, per essere poi successivamente dimesso e trasferito presso un apposito istituto per la gestione della fase subacuta e la riabilitazione cardiologica. Il giorno stesso, però, presso il nuovo istituto, gli fu eseguito un tampone che risultò positivo allo Staphylococcus epidermidis, e per questo fu prontamente riportato presso la struttura dove era stato operato.
Solo dopo undici giorni, furono fatte anche una TC-torace, una broncoscopia con coltura del materiale broncoaspirato ed urinocoltura, le quali avrebbero evidenziato, purtroppo dopo il decesso del paziente, la massiva presenza del batterio Pseudomonas aeruginosa. In breve tempo, le condizioni generali dell’uomo precipitarono, con serie problematiche respiratorie, fino al sopraggiungimento di un’insufficienza multiorgano, rivelatasi fatale. Successivamente, fu appurato che la struttura ospedaliera non soltanto non aveva preso le precauzioni necessarie a prevenire il contrarsi di un’infezione a seguito di un intervento così delicato ed invasivo, ma, una volta sopraggiunta, questa fu sottovalutata e gestita con una terapia non idonea e insufficiente a contrastare l’attacco.
“In questo caso specifico, abbiamo constatato senza ombra di dubbio la responsabilità medica nell’accaduto. – prosegue l’Avvocato Chiarini – L’inidonea pulizia della ferita chirurgica, il monitoraggio postoperatorio insufficiente e il deficit delle procedure di medicazione e cura, con profilassi antibiotica rivolta ai soli batteri Gram positivi ed inefficace per quelli Gram negativi, così come la tardiva diagnosi e gestione della infezione, sono elementi che ci portano a definire la vicenda non come triste complicazione medica, ma come grave caso di malasanità, per il quale il Giudice ha proposto un risarcimento complessivo in favore della famiglia del deceduto pari a € 750.000,00, oltre rifusione delle spese di lite e di C.T.U.”.
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