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Cibo ed emozione : un binomio indissolubile nel comportamento alimentare

Articolo a cura di Floriana Maraglino

Lo so, è capitato anche a te: mangiare senza provare fame, se non quella di affetto, rassicurazione, amore.

L’atto del mangiare in quanto bisogno primario, alla stregua dell’istinto sessuale e della sete, non è puramente una necessità ma una vera e propria forma di piacere. Già solo questo basterebbe a risollevarti dai sensi di colpa che la tua vocina interiore sa destare tutte le volte che ti sussurra <<sei solo golosa>>, o << sei incapace di controllarti>> ( se vuoi approfondire questo passaggio ti consiglio di scaricare la mia guida sull’argomento).

Del resto, se ci alimentassimo solo per fame, non ci sarebbe tanta meticolosa attenzione all’atto del cibarsi, con comportamenti patologici annessi e corse dal dietista.

Il vissuto di ciascuno, quanto al mangiare, si colora di tonalità emotive non trascurabili: sin dalla nascita, il rapporto con il cibo è intimamente legato alle esperienze affettive più forti: pensate all’allattamento o allo svezzamento.

Ben oltre l’aspetto fisiologico, il cibo e l’atto del mangiare, si accompagnano a un sistema di credenze, valori e comportamenti sociali il cui impatto sulla sfera emotiva del’individuo è di notevole spessore.

“Siamo ciò che mangiamo” Ludwig Feuerbach

Scommetto che anche tu che mi leggi, sai quale emozione  associare all’espressione: “nonna e cibo”. Il più delle volte farà rima con Amore. 

Questo è un classico esempio di quanto, lungi dal rappresentare un mero bisogno fisiologico, il cibo si carichi di significati altri, sconfinando non di rado in una malsana forma di comunicazione.

Quante volte hai ascoltato da tua mamma parole come ” o mangi tutta la pasta o puoi scordarti di andare a giocare?”. O ancora : <<se la smetti di piangere ti compro le patatine>>? Quando l’assunzione di un alimento è associata al fattore “premio” o “ricompensa” (che sono solo alcuni dei tanti atteggiamenti manipolatori trasmessi sul cibo), si possono manifestare notevoli ripercussioni nel nostro vivere da adulti.

Nella fattispecie, oltre a influenzare e non poco il gusto alimentare, tracciando a tinte chiare le preferenze alimentari del bambino, questo atteggiamento strumentale nei confronti del cibo confonde un atto semplice e tendenzialmente legato al senso di sazietà, con quello comportamentale attinente alla condotta.

Di riflesso, per il bambino che avrà appreso questa modalità, risulterà facile comunicare i propri dissensi al genitore, utilizzando il cibo come ricatto emotivo.

Rifiutare il cibo, o sminuzzarlo nel piatto per poi nasconderlo, è un chiaro segnale di un comportamento disfunzionale nei confronti del cibo indotto dalle figure genitoriali di riferimento.

Mi viene in mente una meravigliosa analisi di Alexander Lowen a proposito del “modo di stare a tavola” tipicamente viziato dalla nostra cultura in Occidente:

Un bambino dice alla mamma: “Non voglio mangiare la verdura”. Alcune madri probabilmente insisteranno, ma molte risponderanno chiedendo a loro volta: “perché non vuoi mangiare la verdura?”. Se il bambino risponde: “Non mi va di mangiarla”, può darsi che la mamma a sua volta replichi: “dimmi la ragione”. Pare che abbiamo bisogno di ragioni per giustificare il comportamento. I sentimenti non sono ragioni e pertanto non possono essere considerati sufficienti a giustificare le azioni di una persona. Ma poiché la motivazione dell’azione è proprio quel che si sente, siamo costantemente costretti a giustificare i nostri sentimenti, il che significa in ultima analisi giustificare il nostro diritto di esistere. La ragione prende la precedenza sul sentimento.”(Lowen,1972 , La Depressione e il Corpo)

Quando cresciamo, tendiamo a pensare che il nostro comportamento alimentare sia solo frutto di una predisposizione individuale al cibo, ignorando quanto invece, il nostro vissuto dalla nascita in poi, plasmi in maniera considerevole il nostro modo di relazionarci all’alimentazione.

Nell’analisi, nella gestione e nella cura di un disordine alimentare non è possibile prescindere da simili considerazioni (insieme a tutte le altre variabili psicologiche).

Perciò che tu stia invischiata in un rapporto malsano con il cibo o no, è opportuno che tu sia consapevole che non sei nata con un “comportamento predefinito” nei confronti di ciò che mangi, ma questo si viene formando nel tempo  giocando un ruolo fondamentale nelle tue scelte alimentari.

Prova a guardarti dentro, accedendo a quello spazio privato della tua sfera emotiva in cui difficilmente fai entrare gli altri…e ripercorri quello che succede quando ti ritrovi a mangiare poco dopo una lite furibonda con il tuo partner ( o al contrario puoi sentire lo stomaco chiudersi per ore) oppure quando, dopo ore di lavoro chiusa in un ufficio pregno di negatività, discussioni, giudizi e richieste di elevati standard di prestazione professionale, ti ritrovi a svuotare il frigorifero come in preda ad un’ossessione demoniaca. La tua anima, il tuo universo emozionale ti chiede aiuto, ti implora di potersi esprimere, di “dire la sua” senza maschere, senza filtro, e lo fa in maniera inconscia e subdola ( e non potrebbe essere altrimenti abituati come siamo noi occidentali, ad essere eternamente disallineati e raramente in contatto con il nostro universo interiore). Ecco che in quadro così ingarbugliato in cui le emozioni si addensano senza una logica precisa, il cibo figura come il tuo comodo ( è ovunque, persino adesso nelle macchinette agli angoli delle strade) passepartout, una sorta di anestetico immediato e strumentale al bisogno impellente di esprimere la guerriglia “privata” con te stessa.

Il termine ” Emotional Eating “ che sta per Alimentazione Emotiva, si inserisce in questo scenario, a descrivere un comportamento alimentare in cui un individuo risponde ad una situazione emotivamente delicata, carica di tensione e perciò stressante, con un modo di alimentarsi incontrollato e ipercalorico, anche in assenza di fame.

A chi non capitano momenti di incontrollabile noia in cui la voglia di un particolare tipo di cibo prende il sopravvento nella nostra mente? Non è un caso in momenti simili, l’impulso di fame nervosa ci guidi verso cibi altamente calorici o dolci con una funzione “coccola”spesso già pronti all’uso. Questi alimenti,  nel loro poter essere consumati rapidamente, provocano un ritardo nella trasmissione del segnale di sazietà e questo spesso si traduce nell’istinto a mangiarne razioni sempre più abbondanti, fino a sfociare nel meccanismo classico delle abbuffate.

In assenza di un quadro patologico circa il comportamento alimentare, credo possa tornare utile seguire indicazioni come prediligere cibi sazianti, impegnarsi in attività distraenti,  fare piccoli spuntini durante la giornata o seguire altri percorsi mirati alla centratura e al rilascio delle emozioni “tossiche” (spesso anticipatorie di un attacco di fame).  Ma le stesse dritte, non sono sicuramente sufficienti quando siamo in presenza di un disturbo alimentare. 

In quest’ultimo caso infatti, lo scenario è molto più complicato perchè chi avverte l’impulso irrefrenabile di mangiare è molto difficile che abbia, contestualmente accesso ai suoi pensieri. Catherine Hervais, psicoterapeuta con quindici anni di bulimia alle spalle, ritiene che l’attacco di bulimia per esempio, sia scatenato da un’emozione arcaica, tale da precedere qualsiasi pensiero e che  tutte le cure che mirano alla risoluzione del sintomo sono inefficaci se non accompagnate da un’indagine profonda della causa scatenante il disturbo.

“Lavorando non sul comportamento alimentare ma sulla personalità e le sue carenze, indipendentemente dalla dipendenza, si può imparare ad individuare le nostre false percezioni, a non cascare nella lor trappola e ad evitare quelle reazioni emotive fuori luogo, intense, che rendono la relazione con se stessi e con gli altri molto complicata” (Catherine Hervais)

Oltre a condividere pienamente il pensiero della Hervais, aggiungo che lavorare sulla personalità significa lavorare su un tema meraviglioso e apparentemente scontato: l’amore per te stessa.

Nel frattempo, se ti va, mandami pure una mail per raccontarmi le tue impressioni o il tuo rapporto con il cibo negli ultimi anni! Sarò lieta di risponderti per scambiarci spunti e idee sull’argomento!

 

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Floriana Maraglino

Floriana Maraglino è una Life Coach,  Trainer aziendale e Insegnante certificato
Heal Your Life®, formatrice e libera ricercatrice.
Appassionata di mente umana e fisica quantistica, lavora con un approccio alchemico al Coaching: le persone hanno al loro interno tutte le risorse per manifestare e brillare la loro grandezza ma l’hanno scordato ed io le accompagno a riportare alla luce questo ricordo”.
E’ ideatrice del metodo TalentiAMO e organizza percorsi di guida e sostegno sui disturbi alimentari, lavorando in equipe con psicologi e nutrizionisti.
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